La Corte
di Appello di Roma, sentenza n. 2118 del 11.05.2016, ha deciso una
questione che riguardava un Accertamento Inps nei confronti di un’associazione
sportiva titolare di un centro di fitness.
Con
l’accertamento l’INPS recuperava i contributi dovuti alla gestione ex Enpals
per sette istruttori, ai quali fino a quel momento erano stati riconosciuti i
compensi sportivi di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m), del Tuir e in
quanto tali non soggetti a contribuzione previdenziale.
Intervenendo
sulla questione e facendo riferimento al decreto ministeriale 15.03.2005 che ha
adeguato le categorie dei lavoratori assicurati obbligatoriamente presso
l’Enpals e, più in particolare, al punto 20, gli “impiegati, operai, istruttori
e addetti agli impianti e ai circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre
…..”, il giudicante di appello ha statuito:
“dal
semplice tenore letterale della espressione normativa di cui al n. 20 emerge
l’obbligo contributivo a carico dell’appellante (a carico dell’associazione
n.d.r.) nei riguardi degli istruttori di attività sportive a prescindere dalla
natura giuridica (subordinata, parasubordinata o autonoma) del rapporto di
lavoro ed essendosi peraltro la stessa appellante qualificata associazione
sportiva”.
La Corte
non ritiene comunque applicabile la disciplina fiscale (e la conseguente
non debenza previdenziale) dei compensi sportivi in quanto sussisterebbe a
carico dei lavoratori sia il requisito della professionalità che della: “abitualità
anche se non esclusività della loro prestazione”.
Come
annunciato nel titolo di questo articolo, il contrasto giurisprudenziale
alimenta ancor di più la confusione.
La
sezione lavoro della Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 250 del
07.06.2016, perviene ad una conclusione diametralmente opposta.
La
sentenza stabilisce che “il legislatore ha così chiarito che anche i compensi
per le attività di formazione, istruzione, ed assistenza ad attività sportiva
beneficiano dell’esenzione fiscale contributiva dovendosi intendere per
attività sportiva dilettantistica il mero far fare sport senza che sussista un
evento ulteriore a cui finalizzare tale attività” e così conclude riformando la
sentenza di primo grado che aveva invece accolto la tesi dell’istituto
previdenziale: “non sono condivisibili le conclusioni a cui è pervenuto il
giudice di primo grado nel delineare un nesso tra la natura del rapporto di
lavoro e la qualifica di esercente attività sportiva dilettantistica che ben
può caratterizzare qualsiasi rapporto di lavoro rendendo pertanto fruibili i
relativi sgravi fiscali e contributivi a prescindere dalla natura autonoma o
subordinata dello stesso”.
Il
foro bolognese mantiene il suo atteggiamento di favore anche con la decisione
della sezione lavoro del Tribunale (sentenza n. 558 del 23.09.2016), sempre sui
medesimi presupposti di fatto: “… tutte le collaborazioni svolte nell’ambito
sportivo dilettantistico seguono il regime agevolato a prescindere
dall’abitualità e dalla continuità della prestazione … con la conseguenza che
non essendo il compenso imponibile non potranno su di esso calcolarsi neppure
oneri previdenziali …”.
Sarebbe
auspicabile un immediato ed urgente provvedimento di interpretazione autentica
della norma tale da evitare simile confusione che, non me ne voglia male il
Ministero competente, sembra essere fatto apposta per fare “cassa” a scapito di
tante associazioni sportive non professionistiche che si caricano di
responsabilità oltre ogni comprensibile decenza istituzionale.
Scritto da:
Dott. Victor Di Maria
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