domenica 28 agosto 2016

RAVVEDIMENTO OPEROSO PER I CONTRIBUENTI CHE NON HANNO VERSATO LE IMPOSTE


Per i contribuenti che non hanno potuto versare quanto dovuto in relazione ai versamenti di Unico 2016, la scadenza prevista era il 22 agosto 2016, possono sanare la posizione con il fisco utilizzando lo strumento del ravvedimento operoso.
Dal 1° gennaio 2016, inoltre, è entrata in vigore la riforma del sistema sanzionatorio introdotta con il D. Lgs 158/2015 che ha ridotto al 15% la sanzione prevista in caso di versamento spontaneo entro i 90 giorni.

Occorre prestare attenzione alla data da cui far partire il calcolo di sanzioni e interessi  dovuti con il ravvedimento operoso.
Per far ciò è necessario distinguere tra due scadenze: 
  • scadenza ordinaria (16 giugno o  7 luglio 2016 nel caso in cui si applichi la proroga); 
  • scadenza con maggiorazione dello 0,4% (16 luglio o 22 agosto nel caso in cui si applichi la proroga).

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che se il contribuente non ha versato alcun importo né entro la scadenza iniziale né entro i successivi 30 giorni (cd. termine lungo) la data cui far partire il ravvedimento è quella di naturale scadenza cioè 16 giugno o 7 luglio.

Si ricorda che:  
  • I versamenti effettuati con il cd. ravvedimento sprint (entro i 15 giorni successivi alla scadenza) la sanzione base è ridotta a 1/15 per ogni giorno di ritardo ed è pari all1 per cento. 
  • I versamenti effettuati con il cd. ravvedimento breve (dopo i 15 giorni successivi alla scadenza ma entro i 30 giorni successivi) la sanzione base è ridotta a 1/10 ed è pari all'1,5 per cento. 
  • I versamenti effettuati con il cd. ravvedimento lungo (oltre il mese successivo ma entro i 90 giorni successivi alla scadenza) la sanzione applicabile è ridotta a 1/9 ed è pari all’1,67%. 
  • I versamenti effettuati oltre i successivi 90 gironi, ma entro il termine della presentazione della dichiarazione relativa all'anno in cui è stata commessa la violazione, la sanzione è ridotta a 1/8 del minimo ed è pari al 3,75%.

Riammissione alla rateizzazione debiti esattoriali ma attenzione alla data di scadenza della richiesta


I contribuenti decaduti alla data del 1° luglio 2016 dal beneficio della rateazione, concessa in data antecedente o successiva al 22 ottobre 2015 (data di entrata in vigore del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159) possono nuovamente rateizzare l’importo, fino ad un massimo di 72 rate, fatti salvi i piani di rateazione con un numero di rate superiore a 72 già precedentemente approvati, anche se, all’atto della presentazione della richiesta, le rate scadute alla stessa data non siano state integralmente saldate.

Questo quanto previsto dall'art. 13 bis del Decreto enti locali (DL 113/2016) diventato legge il 7 agosto e pubblicato in Gazzetta il 20 agosto 2016.

La nuova richiesta di rateazione dovrà essere presentata, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge avvenuta il 21 agosto e quindi entro il 20 ottobre 2016.

Inoltre anche per il debitore decaduto in data successiva al 15 ottobre 2015 e fino alla data del 1°  luglio 2016 dai piani di rateazione, che ha definito con gli uffici delle Entrate l’accertamento attraverso strumenti deflattivi del contenzioso quali, ad esempio, l’adesione o l’acquiescenza, può ottenere, a semplice richiesta, da presentare, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Enti locali, la concessione di un nuovo piano di rateazione anche se, all’atto della presentazione della richiesta stessa, le rate eventualmente scadute non siano state saldate.

Sarà possibile presentare l’istanza ad Equitalia senza allegare documenti comprovanti la temporanea situazione di obiettiva difficoltà, per le somme iscritte a ruolo di importo non superiore a 60.000 euro (passa quindi da 50.000 a 60.000).
Dott. Victor Di Maria

sabato 27 agosto 2016

BONUS INVESTIMENTI PER IL SUD: UN OCCASIONE DA NON PERDERE...


Per beneficiare del credito d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno le aziende devono trasmettere, a partire dal 30 giugno 2016 e fino al 31 dicembre 2019,  esclusivamente in via telematica, la comunicazione per la fruizione del credito d’imposta secondo le modalità stabilite con provvedimento n. 45080/2016.  
L’Agenzia delle entrate, come scritto nella circolare n. 34/2016, verifica la correttezza formale dei dati presenti nella comunicazione e dichiarati dal contribuente sotto la propria responsabilità e, nell’ipotesi in cui l’ammontare complessivo del credito d’imposta risultante dalle comunicazioni inviate da una medesima impresa sia superiore a 150.000 euro, effettua le verifiche previste dal DLgs. 159/2011.  
Ove non sussistano motivi ostativi, l’Agenzia delle Entrate comunica l’autorizzazione all’utilizzo in compensazione del credito d’imposta. 
Ai sensi del comma 104, il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’art. 17 del DLgs. 241/97.
Secondo quanto previsto dal punto 3.3 del citato provvedimento n. 45080/2016, il beneficiario può utilizzare il credito solo in compensazione, presentando il modello di pagamento F24 (codice tributo “6869”) esclusivamente tramite il servizio telematico Entratel o Fisconline, pena il rifiuto dell’operazione di versamento.
La compensazione del credito può essere esercitata a partire dal quinto giorno successivo alla data di rilascio della ricevuta attestante la fruibilità del credito.  
L’ammontare del credito utilizzato in compensazione, anche in più soluzioni, non può eccedere l’importo risultante dalla ricevuta dell’Agenzia, pena lo scarto dell’F24. 
La circolare evidenzia che i beneficiari potranno utilizzare solo il credito d’imposta maturato, ossia il credito d’imposta relativo agli investimenti già realizzati al momento della compensazione.  
Ai sensi del medesimo comma 104, il credito di imposta “deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di maturazione del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta successivi fino a quello nel quale se ne conclude l’utilizzo”.  
Più precisamente, il credito di imposta deve essere indicato nel quadro RU del modello di dichiarazione relativo al periodo di imposta nel corso del quale il credito stesso è maturato (vale a dire, il periodo di imposta in cui sono stati realizzati gli investimenti agevolati), nonché nel quadro RU dei modelli di dichiarazione relativi ai periodi di imposta nel corso dei quali il credito viene utilizzato in compensazione.  
Relativamente ai limiti di utilizzo del credito di imposta in esame, il citato comma 104 prevede che allo stesso “non si applica il limite di cui all’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”.  
Di conseguenza, il credito di imposta in esame può essere fruito annualmente senza alcun limite quantitativo e, pertanto, per importi anche superiori al limite di 250.000 euro applicabile ai crediti di imposta agevolativi.   
L’Agenzia delle Entrate precisa che non si applica nemmeno il limite generale di compensabilità di crediti di imposta e contributi di cui all’art. 34 della L. 388/2000, pari a 700.000 euro, e il divieto di compensazione dei crediti relativi ad imposte erariali in presenza di debiti iscritti a ruolo per un ammontare superiore a 1.500 euro ex art. 31 del DL 78/2010. 
La circolare n. 34/2016 evidenzia, inoltre, che, in assenza di un’espressa esclusione normativa, il credito d’imposta in commento è da considerarsi rilevante ai fini fiscali. Ciò comporta, tra l’altro, che tale credito, ai fini IRPEF, IRES ed IRAP, debba essere considerato come contributo tassabile.
Dott. Victor Di Maria

martedì 23 agosto 2016

MA L'EFFETTIVO CARICO FISCALE PER LE AZIENDE E' QUELLO CHE SI DEFINISCE COL TERMINE PRESSIONE FISCALE ??


Abbiamo sentito più volte annunci che rassicurano gli italiani circa la diminuzione della tassazione. Si susseguono, da tanti anni, i soliti proclami che ci indicano delle percentuali. Si parla di PIL, di Deficit, di indebitamento pubblico, di Pressione Fiscale: tutto espresso in percentuali che, spesso, non hanno una facile comprensibile interpretazione.
Vediamo di capire, almeno, la differenza tra i termini “Pressione Fiscale” e Pressione tributaria”. E, ancora, che significa “Pressione Fiscale Globale” ?
Cercherò di rendere l’argomento quanto più semplice possibile (perciò mi vorranno perdonare i colleghi e gli economisti dediti ad un linguaggio forbitamente tecnico).
Generalmente si calcola la pressione fiscale apparente rapportando l'ammontare delle imposte introitate dalla Stato, in un determinato anno di imposta, al Prodotto Interno Lordo ovvero il gettito fiscale in rapporto al PIL.
Con pressione fiscale apparente si intende l'indicatore percentuale che misura il livello di tassazione medio di uno Stato.
È un parametro che spesso è tenuto in conto o deriva da scelte del governo in materia di politica fiscale.
La pressione fiscale apparente è data dal rapporto tra l'ammontare del gettito fiscale totale e il Prodotto Interno Lordo.
Poiché il PIL dal 2013, è bene precisarlo, contempla oltre al già contabilizzato lavoro sommerso, anche l'economia criminale ossia, solo per fare un esempio, i traffici di droga e la prostituzione (i dati sull'economia criminale sono, allo stato attuale, inattendibili, e il loro inserimento nel Prodotto interno lordo (PIL) può diventare fonte di molti paradossi), di conseguenza tale indicatore non tiene conto dell'evasione fiscale correlata ad entrambe le voci, pertanto, la pressione fiscale apparente risulta minore del livello legale di tassazione cui sono soggetti i contribuenti che rispettano la legge.
La pressione fiscale apparente si distingue quindi dalla pressione fiscale legale che è data dal rapporto tra il gettito fiscale totale ed il PIL legale ossia la totalità dei redditi legali dichiarati.
Il livello complessivo di tassazione legale cui sono soggetti un'impresa o un lavoratore dipendente o autonomo è invece misurato dall'aliquota fiscale effettiva.
Al fine di avere una maggiore percezione dello sforzo fiscale a cui sono sottoposti i contribuenti italiani, è utile ricalcolare la pressione fiscale ponendo in rapporto le entrate fiscali con il Pil “alleggerito” della parte riconducibile al sommerso economico e alle attività illegali (211 miliardi circa).
Ebbene, questo nuovo risultato, ovvero la pressione fiscale reale, balza al 50,2 per cento.
I dati sono stati calcolati dall’ufficio studi della CGIA di Mestre e ci danno il seguente triste risultato:
 La pressione fiscale in Italia
                  Ufficiale       Reale
2011            41,6%        47,4%
2012            43,6%        49,9%
2013            43,5%        49,9%
2014            43,6%        50,0%  (*)
2015            43,7%        50,2%  (*)
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati ISTAT

Ma se parliamo di tassazione del reddito prodotto dalle imprese la situazione diventa ancora più drammatica.
L’Italia è il peggior posto in Europa dove fare impresa, almeno per quanto riguarda il prelievo fiscale annuale sul profitto: 64,8% contro una media europea del 40,6%.
A rivelare questo e altri indicatori fiscali importanti è il rapporto annuale di Banca mondiale e PWC “Paying taxes 2016” (http://www.pwc.com/gx/en/paying-taxes-2016/paying-taxes-2016-high-resolution.pdf).
Sono tre gli indicatori considerati:
  • Ø la pressione fiscale sulle imprese;
  • Ø le ore perse per gli adempimenti fiscali;
  • Ø il numero di tasse che gravano sulle imprese;

Su 189 Paesi del mondo analizzati, l’Italia si pone al 137simo posto. Un bel primato.

Prelievo sui profitti delle imprese





Reddito fiscale e reddito civilistico o di Bilancio

 Le imprese hanno un problema. Il reddito di fine anno, l’utile di impresa, non è il reddito effettivo su cui si calcolano le imposte.
Il reddito di bilancio viene condizionato dalle variazioni in aumento di tutti i costi che hanno una deducibilità parziale.

I redditi prodotti da società ed enti commerciali sono soggetti all´IRES; tale imposta è commisurata al reddito complessivo netto con l’aliquota unica proporzionale del 27,5%.
L’utile di esercizio ed imponibile sono due valori concettualmente diversi, in quanto le relative regole di determinazioni sono differenti.
Le norme fiscali, in particolare, prevedono, per molte tipologie di costi, percentuali di deducibilità forfetaria limitata.
In pratica, al risultato di esercizio, determinato secondo il più rigoroso e corretto dettato civilistico, devono essere apportate, ai sensi del Testo Unico Imposte, nella “dichiarazione dei redditi” le variazioni di carattere fiscale al fine di pervenire alla quantificazione dell’imponibile fiscale.
In dettaglio le variazioni da eseguire sono le seguenti:

UTILE (O PERDITA) DI ESERCIZIO (Utile di bilancio civilistico)
Meno
 variazioni positive per costi dell’esercizio in tutto o in parte non deducibili
Meno 

variazioni positive per riporto di poste non tassate negli esercizi precedenti
PIU' 
variazioni negative per ricavi dell’esercizio non imponibili
MENO 

variazioni negative per riporto di costi non dedotti negli esercizi precedenti

 UGUALE

reddito imponibile fiscale Ires

Tali variazioni fiscali si possono raggruppare in varie categorie ma, tuttavia, in questa sede ci occupiamo soltanto delle:
  • Ø Variazioni (differenze) definitive (o permanenti), questa tipologia di variazioni esplica in modo definitivo un effetto sul reddito imponibile dell’esercizio senza alcun successivo riflesso sugli esercizi futuri.

Si tratta in particolare di costi non deducibili, cioè costi sostenuti dall’impresa, che sono inerenti l’attività aziendale e concorrono alla formazione del risultato di esercizio, ma dei quali il fisco non consente la deducibilità (ad es. le spese relative alle autovetture che sono deducibili generalmente nella misura del 20% del loro ammontare).
Il recupero ai fini fiscali di questi costi determina un carico impositivo maggiore rispetto alla quantificazione del reddito civilistico dell’anno di imposta.
Alcuni esempi di costi a deducibilità parziale:
Alberghi e ristoranti                   
Spese pasti e pernottamenti (che non costituiscono spese di rappresentanza)
Deducibili al 75% (se dimostrabile l'inerenza della spesa).
Per i professionisti è previsto un limite assoluto di deducibilità pari al 2% dei compensi percepiti.
          
Spese pasti e pernottamenti (che costituiscono spese di rappresentanza)
Deducibili al 75% (se dimostrabile l'inerenza della spesa) nel limite massimo fissato dal DM 19/11/2008; il calcolo dell’importo massimo deducibile si effettua applicando le apposite percentuali.           
Autovetture                 
Spese per acquisto autovetture (imprese e professionisti)
Ammortamento deducibile al 20% del costo del bene sino ad un massimo di € 18.076,00                 
Spese per acquisto autovetture (agenti e rappresentanti)
Ammortamento deducibile all' 80% del costo del bene sino ad un massimo di € 25.822,00   
Manutenzioni, riparazioni, carburanti, bollo auto, assicurazione (imprese e professionisti)    
Deducibilità pari al 20%
Sulla base delle superiori, sia pure schematiche, considerazioni si arriva al risultato di cui alla successiva tabella:
PRESSIONE FISCALE SULLE IMPRESE AREA EURO
Totale imposte in % sui profitti commerciali (*)
Rank Paesi           Totale imposte   (in % su profitti commerciali d’impresa)
1 Italia                                                                       64,8
2 Francia                                                                   62,7
3 Belgio                                                                     58,4
4 Austria                                                                   51,7
5 Slovacchia                                                             51,2
6 Spagna                                                                   50,0
7 Grecia                                                                    49,6
8 Estonia                                                                  49,4
9 Germania                                                             48,8
10 Lituania                                                               42,6
11 Malta                                                                     41,3
12 Paesi Bassi                                                          41,0
Portogallo                                                               41,0
14 Finlandia                                                            37,9
15 Lettonia                                                               35,9
16 Slovenia                                                               31,0
17 Irlanda                                                                 25,9
18 Cipro                                                                    24,4
19 Lussemburgo                                                     20,1
media Area euro (1)                                              43,6
Elaborazioni Ufficio Studi CGIA su dati Banca Mondiale (Doing Business 2016)
(1) Calcolato come media del valore dei singoli Paesi