Una Società di
capitali, cliente dello Studio, è stata oggetto di un accertamento eseguito dal
Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza.
L’attività di
controllo si è conclusa con la rilevazione di presunte violazioni ai principi
contabili della competenza a cui attribuire alcuni ricavi. Si trattava, nel
caso di specie, di premi su acquisti.
La società, prima
che fosse ultimata l’attività di accertamento da parte della Guardia di
Finanza, ha proceduto a riapprovare i bilanci di esercizio dei periodi oggetto
dell’accertamento e ad emendare le Dichiarazioni dei Redditi al fine di ricollocare
i ricavi dei vari periodi rispettando il principio della competenza contabile.
Non è discutibile il
fatto che, se il contribuente commette un errore nell’imputazione a periodo
delle componenti reddituali, l’errore dà luogo, da un lato, alla sanzione per l’infedeltà
dichiarativa e, dall’altro, la dichiarazione emendata fa scattare il diritto al
rimborso delle maggiori imposte che il contribuente avrà pagato per effetto
dello spostamento della detta competenza (se attribuisco all’anno x un reddito
che per errore era stato imputato all’anno x*1 in detto ultimo anno avrà pagato imposte non dovute.
Non è, infatti, in
discussione il principio che, se l’errore è stato accertato dall’Agenzia delle
Entrate, scaturisce il diritto al rimborso, e la domanda va presentata, a pena
di decadenza, entro due anni da quando l’accertamento è diventato definitivo
(circolare n. 23 del 2010).
E’ interessante
precisare che, come chiarito nella circolare n. 31 del 2012, la vertenza può
essere definita con adesione, mediante una sorta di “compensazione” tra posta
creditoria e debitoria, anche in sede di mediazione e conciliazione giudiziale.
E’ bene tenere
presente che, ove la definitività dell’accertamento scaturisca da un giudicato
delle Commissioni tributarie, il rimborso soggiace all’ordinario termine di
prescrizione decennale (Cass. 8 giugno 2016 n. 11728; Cass. 4 marzo 2016 n.
4342).
Ove, sulla base
delle circostanze di fatto, l’errore non avesse causato alcun danno erariale,
non avendo avuto effetto sulle aliquote IRPEF marginali, occorrerebbe versare,
a titolo di sanzione, solo 31,25 euro (250/8).
Naturalmente,
bisogna pagare anche le imposte, gli interessi legali e presentare una
dichiarazione integrativa.
Se l’anno in cui sorge
il diritto al rimborso non è più emendabile con una dichiarazione integrativa a
favore del contribuente, l’unica strada percorribili, per evitare la
duplicazione d’imposta, è la presentazione di una domanda di rimborso (art. 2
comma 8-bis del DPR 322/98).
Dott. Victor Di Maria
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