martedì 23 agosto 2016

MA L'EFFETTIVO CARICO FISCALE PER LE AZIENDE E' QUELLO CHE SI DEFINISCE COL TERMINE PRESSIONE FISCALE ??


Abbiamo sentito più volte annunci che rassicurano gli italiani circa la diminuzione della tassazione. Si susseguono, da tanti anni, i soliti proclami che ci indicano delle percentuali. Si parla di PIL, di Deficit, di indebitamento pubblico, di Pressione Fiscale: tutto espresso in percentuali che, spesso, non hanno una facile comprensibile interpretazione.
Vediamo di capire, almeno, la differenza tra i termini “Pressione Fiscale” e Pressione tributaria”. E, ancora, che significa “Pressione Fiscale Globale” ?
Cercherò di rendere l’argomento quanto più semplice possibile (perciò mi vorranno perdonare i colleghi e gli economisti dediti ad un linguaggio forbitamente tecnico).
Generalmente si calcola la pressione fiscale apparente rapportando l'ammontare delle imposte introitate dalla Stato, in un determinato anno di imposta, al Prodotto Interno Lordo ovvero il gettito fiscale in rapporto al PIL.
Con pressione fiscale apparente si intende l'indicatore percentuale che misura il livello di tassazione medio di uno Stato.
È un parametro che spesso è tenuto in conto o deriva da scelte del governo in materia di politica fiscale.
La pressione fiscale apparente è data dal rapporto tra l'ammontare del gettito fiscale totale e il Prodotto Interno Lordo.
Poiché il PIL dal 2013, è bene precisarlo, contempla oltre al già contabilizzato lavoro sommerso, anche l'economia criminale ossia, solo per fare un esempio, i traffici di droga e la prostituzione (i dati sull'economia criminale sono, allo stato attuale, inattendibili, e il loro inserimento nel Prodotto interno lordo (PIL) può diventare fonte di molti paradossi), di conseguenza tale indicatore non tiene conto dell'evasione fiscale correlata ad entrambe le voci, pertanto, la pressione fiscale apparente risulta minore del livello legale di tassazione cui sono soggetti i contribuenti che rispettano la legge.
La pressione fiscale apparente si distingue quindi dalla pressione fiscale legale che è data dal rapporto tra il gettito fiscale totale ed il PIL legale ossia la totalità dei redditi legali dichiarati.
Il livello complessivo di tassazione legale cui sono soggetti un'impresa o un lavoratore dipendente o autonomo è invece misurato dall'aliquota fiscale effettiva.
Al fine di avere una maggiore percezione dello sforzo fiscale a cui sono sottoposti i contribuenti italiani, è utile ricalcolare la pressione fiscale ponendo in rapporto le entrate fiscali con il Pil “alleggerito” della parte riconducibile al sommerso economico e alle attività illegali (211 miliardi circa).
Ebbene, questo nuovo risultato, ovvero la pressione fiscale reale, balza al 50,2 per cento.
I dati sono stati calcolati dall’ufficio studi della CGIA di Mestre e ci danno il seguente triste risultato:
 La pressione fiscale in Italia
                  Ufficiale       Reale
2011            41,6%        47,4%
2012            43,6%        49,9%
2013            43,5%        49,9%
2014            43,6%        50,0%  (*)
2015            43,7%        50,2%  (*)
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati ISTAT

Ma se parliamo di tassazione del reddito prodotto dalle imprese la situazione diventa ancora più drammatica.
L’Italia è il peggior posto in Europa dove fare impresa, almeno per quanto riguarda il prelievo fiscale annuale sul profitto: 64,8% contro una media europea del 40,6%.
A rivelare questo e altri indicatori fiscali importanti è il rapporto annuale di Banca mondiale e PWC “Paying taxes 2016” (http://www.pwc.com/gx/en/paying-taxes-2016/paying-taxes-2016-high-resolution.pdf).
Sono tre gli indicatori considerati:
  • Ø la pressione fiscale sulle imprese;
  • Ø le ore perse per gli adempimenti fiscali;
  • Ø il numero di tasse che gravano sulle imprese;

Su 189 Paesi del mondo analizzati, l’Italia si pone al 137simo posto. Un bel primato.

Prelievo sui profitti delle imprese





Reddito fiscale e reddito civilistico o di Bilancio

 Le imprese hanno un problema. Il reddito di fine anno, l’utile di impresa, non è il reddito effettivo su cui si calcolano le imposte.
Il reddito di bilancio viene condizionato dalle variazioni in aumento di tutti i costi che hanno una deducibilità parziale.

I redditi prodotti da società ed enti commerciali sono soggetti all´IRES; tale imposta è commisurata al reddito complessivo netto con l’aliquota unica proporzionale del 27,5%.
L’utile di esercizio ed imponibile sono due valori concettualmente diversi, in quanto le relative regole di determinazioni sono differenti.
Le norme fiscali, in particolare, prevedono, per molte tipologie di costi, percentuali di deducibilità forfetaria limitata.
In pratica, al risultato di esercizio, determinato secondo il più rigoroso e corretto dettato civilistico, devono essere apportate, ai sensi del Testo Unico Imposte, nella “dichiarazione dei redditi” le variazioni di carattere fiscale al fine di pervenire alla quantificazione dell’imponibile fiscale.
In dettaglio le variazioni da eseguire sono le seguenti:

UTILE (O PERDITA) DI ESERCIZIO (Utile di bilancio civilistico)
Meno
 variazioni positive per costi dell’esercizio in tutto o in parte non deducibili
Meno 

variazioni positive per riporto di poste non tassate negli esercizi precedenti
PIU' 
variazioni negative per ricavi dell’esercizio non imponibili
MENO 

variazioni negative per riporto di costi non dedotti negli esercizi precedenti

 UGUALE

reddito imponibile fiscale Ires

Tali variazioni fiscali si possono raggruppare in varie categorie ma, tuttavia, in questa sede ci occupiamo soltanto delle:
  • Ø Variazioni (differenze) definitive (o permanenti), questa tipologia di variazioni esplica in modo definitivo un effetto sul reddito imponibile dell’esercizio senza alcun successivo riflesso sugli esercizi futuri.

Si tratta in particolare di costi non deducibili, cioè costi sostenuti dall’impresa, che sono inerenti l’attività aziendale e concorrono alla formazione del risultato di esercizio, ma dei quali il fisco non consente la deducibilità (ad es. le spese relative alle autovetture che sono deducibili generalmente nella misura del 20% del loro ammontare).
Il recupero ai fini fiscali di questi costi determina un carico impositivo maggiore rispetto alla quantificazione del reddito civilistico dell’anno di imposta.
Alcuni esempi di costi a deducibilità parziale:
Alberghi e ristoranti                   
Spese pasti e pernottamenti (che non costituiscono spese di rappresentanza)
Deducibili al 75% (se dimostrabile l'inerenza della spesa).
Per i professionisti è previsto un limite assoluto di deducibilità pari al 2% dei compensi percepiti.
          
Spese pasti e pernottamenti (che costituiscono spese di rappresentanza)
Deducibili al 75% (se dimostrabile l'inerenza della spesa) nel limite massimo fissato dal DM 19/11/2008; il calcolo dell’importo massimo deducibile si effettua applicando le apposite percentuali.           
Autovetture                 
Spese per acquisto autovetture (imprese e professionisti)
Ammortamento deducibile al 20% del costo del bene sino ad un massimo di € 18.076,00                 
Spese per acquisto autovetture (agenti e rappresentanti)
Ammortamento deducibile all' 80% del costo del bene sino ad un massimo di € 25.822,00   
Manutenzioni, riparazioni, carburanti, bollo auto, assicurazione (imprese e professionisti)    
Deducibilità pari al 20%
Sulla base delle superiori, sia pure schematiche, considerazioni si arriva al risultato di cui alla successiva tabella:
PRESSIONE FISCALE SULLE IMPRESE AREA EURO
Totale imposte in % sui profitti commerciali (*)
Rank Paesi           Totale imposte   (in % su profitti commerciali d’impresa)
1 Italia                                                                       64,8
2 Francia                                                                   62,7
3 Belgio                                                                     58,4
4 Austria                                                                   51,7
5 Slovacchia                                                             51,2
6 Spagna                                                                   50,0
7 Grecia                                                                    49,6
8 Estonia                                                                  49,4
9 Germania                                                             48,8
10 Lituania                                                               42,6
11 Malta                                                                     41,3
12 Paesi Bassi                                                          41,0
Portogallo                                                               41,0
14 Finlandia                                                            37,9
15 Lettonia                                                               35,9
16 Slovenia                                                               31,0
17 Irlanda                                                                 25,9
18 Cipro                                                                    24,4
19 Lussemburgo                                                     20,1
media Area euro (1)                                              43,6
Elaborazioni Ufficio Studi CGIA su dati Banca Mondiale (Doing Business 2016)
(1) Calcolato come media del valore dei singoli Paesi

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