Abbiamo sentito più
volte annunci che rassicurano gli italiani circa la diminuzione della
tassazione. Si susseguono, da tanti anni, i soliti proclami che ci indicano delle
percentuali. Si parla di PIL, di Deficit, di indebitamento pubblico, di
Pressione Fiscale: tutto espresso in percentuali che, spesso, non hanno una
facile comprensibile interpretazione.
Vediamo di capire,
almeno, la differenza tra i termini “Pressione Fiscale” e Pressione tributaria”.
E, ancora, che significa “Pressione Fiscale Globale” ?
Cercherò di rendere
l’argomento quanto più semplice possibile (perciò mi vorranno perdonare i
colleghi e gli economisti dediti ad un linguaggio forbitamente tecnico).
Generalmente si
calcola la pressione fiscale apparente rapportando l'ammontare delle imposte introitate
dalla Stato, in un determinato anno di imposta, al Prodotto Interno Lordo
ovvero il gettito fiscale in rapporto al PIL.
Con pressione
fiscale apparente si intende l'indicatore percentuale che misura il livello di
tassazione medio di uno Stato.
È un parametro che
spesso è tenuto in conto o deriva da scelte del governo in materia di politica
fiscale.
La pressione fiscale
apparente è data dal rapporto
tra l'ammontare del gettito fiscale totale e il Prodotto Interno Lordo.
Poiché il PIL dal
2013, è bene precisarlo, contempla oltre al già contabilizzato lavoro sommerso,
anche l'economia criminale ossia,
solo per fare un esempio, i traffici di droga e la prostituzione (i dati
sull'economia criminale sono, allo stato attuale, inattendibili, e il loro
inserimento nel Prodotto interno lordo (PIL) può diventare fonte di molti
paradossi), di conseguenza tale indicatore non tiene conto dell'evasione
fiscale correlata ad entrambe le voci, pertanto, la pressione fiscale apparente
risulta minore del livello legale di tassazione cui sono soggetti i
contribuenti che rispettano la legge.
La pressione fiscale
apparente si distingue quindi dalla pressione fiscale legale che è data dal
rapporto tra il gettito fiscale totale ed il PIL legale ossia la totalità dei
redditi legali dichiarati.
Il livello
complessivo di tassazione legale cui sono soggetti un'impresa o un lavoratore
dipendente o autonomo è invece misurato dall'aliquota fiscale effettiva.
Al fine di avere una
maggiore percezione dello sforzo fiscale a cui sono sottoposti i contribuenti
italiani, è utile ricalcolare la pressione fiscale ponendo in rapporto le
entrate fiscali con il Pil “alleggerito” della parte riconducibile al sommerso
economico e alle attività illegali (211 miliardi circa).
Ebbene, questo nuovo
risultato, ovvero la pressione fiscale reale, balza al 50,2 per cento.
I dati sono stati
calcolati dall’ufficio studi della CGIA di Mestre e ci danno il seguente triste
risultato:
La pressione fiscale in Italia
Ufficiale Reale
|
2011 41,6% 47,4%
|
2012 43,6% 49,9%
|
2013 43,5% 49,9%
|
2014 43,6% 50,0%
(*)
|
2015 43,7% 50,2%
(*)
|
Elaborazione Ufficio
Studi CGIA su dati ISTAT
Ma se parliamo di
tassazione del reddito prodotto dalle imprese la situazione diventa ancora più
drammatica.
L’Italia è il
peggior posto in Europa dove fare impresa, almeno per quanto riguarda il
prelievo fiscale annuale sul profitto: 64,8% contro una media europea del
40,6%.
A rivelare questo e
altri indicatori fiscali importanti è il rapporto annuale di Banca mondiale e
PWC “Paying taxes 2016” (http://www.pwc.com/gx/en/paying-taxes-2016/paying-taxes-2016-high-resolution.pdf).
Sono tre gli
indicatori considerati:
- Ø la pressione fiscale sulle imprese;
- Ø le ore perse per gli adempimenti fiscali;
- Ø il numero di tasse che gravano sulle imprese;
Su 189 Paesi del
mondo analizzati, l’Italia si pone al 137simo posto. Un bel primato.
Prelievo sui profitti delle imprese
Reddito fiscale e reddito civilistico o di Bilancio
Le imprese hanno un
problema. Il reddito di fine anno, l’utile di impresa, non è il reddito
effettivo su cui si calcolano le imposte.
Il reddito di
bilancio viene condizionato dalle variazioni in aumento di tutti i costi che
hanno una deducibilità parziale.
I redditi prodotti
da società ed enti commerciali sono soggetti all´IRES; tale imposta è
commisurata al reddito complessivo netto con l’aliquota unica proporzionale del
27,5%.
L’utile di esercizio
ed imponibile sono due valori concettualmente diversi, in quanto le relative
regole di determinazioni sono differenti.
Le norme fiscali, in
particolare, prevedono, per molte tipologie di costi, percentuali di
deducibilità forfetaria limitata.
In pratica, al
risultato di esercizio, determinato secondo il più rigoroso e corretto dettato
civilistico, devono essere apportate, ai sensi del Testo Unico Imposte, nella
“dichiarazione dei redditi” le variazioni di carattere fiscale al fine di
pervenire alla quantificazione dell’imponibile fiscale.
In dettaglio le
variazioni da eseguire sono le seguenti:
UTILE (O PERDITA) DI ESERCIZIO (Utile di bilancio civilistico)
Meno
variazioni positive
per costi dell’esercizio in tutto o in parte non deducibili
Meno
variazioni positive
per riporto di poste non tassate negli esercizi precedenti
PIU'
variazioni negative
per ricavi dell’esercizio non imponibili
MENO
variazioni negative
per riporto di costi non dedotti negli esercizi precedenti
UGUALE
reddito imponibile fiscale Ires
Tali variazioni
fiscali si possono raggruppare in varie categorie ma, tuttavia, in questa sede
ci occupiamo soltanto delle:
- Ø Variazioni (differenze) definitive (o permanenti), questa tipologia di variazioni esplica in modo definitivo un effetto sul reddito imponibile dell’esercizio senza alcun successivo riflesso sugli esercizi futuri.
Si tratta in
particolare di costi non deducibili, cioè costi sostenuti dall’impresa, che
sono inerenti l’attività aziendale e concorrono alla formazione del risultato
di esercizio, ma dei quali il fisco non
consente la deducibilità (ad es. le spese relative alle autovetture che
sono deducibili generalmente nella misura del 20% del loro ammontare).
Il recupero ai fini
fiscali di questi costi determina un carico impositivo maggiore rispetto alla
quantificazione del reddito civilistico dell’anno di imposta.
Alcuni esempi di costi
a deducibilità parziale:
Alberghi e ristoranti
Spese pasti e
pernottamenti (che non costituiscono spese di rappresentanza)
Deducibili al 75%
(se dimostrabile l'inerenza della spesa).
Per i professionisti
è previsto un limite assoluto di deducibilità pari al 2% dei compensi
percepiti.
Spese pasti e pernottamenti
(che costituiscono spese di rappresentanza)
Deducibili al 75%
(se dimostrabile l'inerenza della spesa) nel limite massimo fissato dal DM
19/11/2008; il calcolo dell’importo massimo deducibile si effettua applicando
le apposite percentuali.
Autovetture
Spese per acquisto
autovetture (imprese e professionisti)
Ammortamento
deducibile al 20% del costo del bene sino ad un massimo di € 18.076,00
Spese per acquisto
autovetture (agenti e rappresentanti)
Ammortamento
deducibile all' 80% del costo del bene sino ad un massimo di € 25.822,00
Manutenzioni,
riparazioni, carburanti, bollo auto, assicurazione (imprese e professionisti)
Deducibilità pari al
20%
Sulla base delle
superiori, sia pure schematiche, considerazioni si arriva al risultato di cui
alla successiva tabella:
PRESSIONE FISCALE SULLE IMPRESE AREA EURO
Totale imposte in % sui profitti commerciali (*)
Rank Paesi Totale imposte (in %
su profitti commerciali d’impresa)
1 Italia 64,8
|
2 Francia 62,7
|
3 Belgio 58,4
|
4 Austria 51,7
|
5 Slovacchia 51,2
|
6 Spagna 50,0
|
7 Grecia 49,6
|
8 Estonia 49,4
|
9 Germania 48,8
|
10 Lituania 42,6
|
11 Malta 41,3
|
12 Paesi Bassi 41,0
|
Portogallo 41,0
|
14 Finlandia 37,9
|
15 Lettonia 35,9
|
16 Slovenia 31,0
|
17 Irlanda 25,9
|
18 Cipro 24,4
|
19 Lussemburgo 20,1
|
media Area euro
(1) 43,6
|
Elaborazioni Ufficio
Studi CGIA su dati Banca Mondiale (Doing Business 2016)
(1) Calcolato come media del valore dei singoli Paesi
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