La retorica del linguaggio,
intesa come prevalenza incontrastata della forma su un contenuto “cangiante”, “variegante”,
“variabile” a seconda delle circostanze e delle opportunità del momento, trova
la sua applicazione intensiva nel linguaggio “politichese” dell’Italia degli ultimi quattro lustri.
La verità viene piegata,
mortificata, violentata e sacrificata al voler del “politico” in auge.
Poco importa la sua matrice,
di destra, di sinistra o della cosiddetta “antipolitica”.
La conoscenza è mero
esercizio filologico, gioco di parole, logica formale, parafrasi.
Il contenuto diventa privo
di contestualità, poli-significativo.
Ascoltare un “oratore”
prescindendo dalla sua appartenenza “partitica”, a questo o quel partito, è
come averli ascoltato tutti.
Esternano frasi intrise di
una retorica “incolore”, buona per tutte le stagioni e per tutti i colori.
Il “cittadino (sic !) viene
rapito e ubriacato da raffiche di slogan che lo rendono, via via, sempre meno
capace di distinguere il “contenuto” di ciò che ha ascoltato rispetto al contenente
(contenitore) dell’oratore.
Paradossalmente tutti sono
pro. Pro “Giustizia”, pro “solidarietà”, pro “anti” (mafia, corruzione,
disoccupazione ect ect).
Sono “Anti” tutto quanto
abbia un’accezione negativa e sono “pro” ogni affermazione portatrice di
benefiche prospettive.
Ascoltare i “politici” è
come assistere allo svilimento e svuotamento del significato della parola.
Non ha importanza dire ed
esprimere concetti e rassegnarli alla logica della prova e della confutazione.
L’importante avere un uditorio plaudente, poco importa dover “dire” qualcosa
da “provare”.
Abbiamo prodotto una classe
di dirigenti che ha frantumato il futuro sacrificandolo alla logica della
preservazione del “potere” fine a se stesso.
L’Italia non è mai stata
così debole così come lo è oggi.
La nostra debolezza non è solo economica. E’
soprattutto culturale.
Non me ne vogliano i “politici”
di professione !! Lo scenario è veramente sconfortante.
La vostra “parola” è
diventata l’emblema del trucco, dell’inganno, dello stratagemma astuto e
spregiudicato, della trovata geniale.
Il metodo si riassume nella
frase: “Il fine giustifica i mezzi”.
Così Machiavelli nel capitolo
XVIII de “Il Principe” scrive:
“……e nelle azioni di tutti gli uomini, e massime
de’ Principi, dove non è giudizio a chi reclamare, si guarda al fine. Facci
adunque un Principe conto di vivere e mantenere lo Stato; i mezzi saranno
sempre giudicati onorevoli, e da ciascuno lodati; perchè il vulgo ne va sempre
preso con quello che pare, e con l’evento della cosa; e nel mondo non è se non
vulgo; e gli pochi hanno luogo, quando gli assai non hanno dove appoggiarsi.”
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